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giovedì 30 maggio 2013

Il Grande Gatsby... ma anche no!

Una volta all'anno Coinquilino decide di concedermi il diritto di scegliere un film da vedere al cinema insieme. Si tratta di un evento molto raro, che gli costa tantissimo, perché il mio lungimirante compagno di vita sa che sceglierò un film dove ci sono pochi o zero effetti speciali, dove la storia ruota attorno a sentimenti o rapporti sociali di rilevanza e dove generalmente la protagonista femminile ha dei vestiti o un taglio di capelli carini. Tutte cose che lui, avendo organi genitali diversi dai miei, non concepisce minimamente.
Quest'anno mi sono giocata la carta con Il Grande Gatsby di Lurhman. E l'ho fatto solo per voi. Quindi amatemi almeno un po'.
Allora. La prima metà del film è gradevole ma non entusiasma. Le trovate di Lurhman sono oramai vecchie come il cucco: le scene corali con costumi di paillettes e balli di gruppo le abbiamo viste (molto più belle) in Moulin Rouge, gli adattamenti musicali a contrasto ce li ha già lodevolmente regalati Rome+Juliet (i Radiohead non sono Lana del Rey) e tutto il resto e noia.
La seconda parte del film è imbarazzante. Il mio amico Baz si conferma geniale negli affreschi festosi e gaudenti e abbastanza incapace di gestire una scena con meno di 10 personaggi. Purtroppo in Il Grande Gatsby i personaggi sono pochi, la trama è appena accennata e l'imbarazzo aleggia su buona parte delle situazioni raccontate. Devo dire che lo stesso imbarazzo si avverte nel romanzo.
Ad ogni modo il buon Baz ha il merito di essere rimasto fedele al capolavoro di Scott Fitzgerard, alla sua storia, ai suoi personaggi, alle sue atmosfere. Quindi, assodato che la regia è deludente, passiamo a vivisezionare il romanzo che, secondo Le Monde, si colloca al 46° posto fra i 100 migliori libri del XX secolo.


La trama.
Un Povero Cristo è nato e cresciuto in miseria, ma ritiene ugualmente di essere "figlio di un dio". A 16 anni il Povero Cristo decide di  andare in giro per il mondo alla ricerca di fortuna, e trascorre 5 anni su una barca con un vecchio e agiato ubriacone che gli insegna a comportarsi come un Lord (e probabilmente lo sodomizza, NDR). 
Il Lord muore e il Povero Cristo, che nel frattempo ha deciso di chiamarsi Jay Gatsby, rimasto senza un soldo, si arruola. Durante l'addestramento militare incontra una giovane e Bella Ereditiera, si innamorano, si giurano fedeltà eterna. Poi lui parte per la guerra e la Bella Ereditiera ne approfitta per sposarsi con un suo pari, sfanculando allegramente tutte le promesse fatte.
Il Povero Cristo anziché sputare in faccia alla Bella Ereditiera, come ella meriterebbe, decide di smuovere mari e monti per ritornare in America, diventare schifosamente ricco e riprendersi la stronza dei suoi sogni. La Bella Ereditiera, ovviamente, ci sta anche perché il suo Coniuge la tradisce con le peggiori vrenzole di Manhattan. 
A un certo punto però il Coniuge capisce che la Bella Ereditiera potrebbe pure lasciarlo come il pesce a brodo che è e decide di screditare l'avversario, dimostrando che egli non è altro che un "cafone sagliuto". Il Povero Cristo si incazza. La Bella Ereditiera da di matto e nella confusione generale investe l'amante-vrenzola del Coniuge.
Ovviamente il Povero Cristo si assume tutte le colpe del fattaccio e ne paga con la vita, mentre la Bella Ereditiera se ne va in vacanza con il Coniuge.

I personaggi.

Jay Gatsby: è il sogno americano, il self made man che nasce in una baracca e muore in una villa con piscina. Certo, per farlo non si fa scrupolo ad entrare in affari con loschi malavitosi, ma nel romanzo questo aspetto è appena accennato, quindi chissene. Tutto ciò che vediamo di Gatsby è la sua magnificenza. E la sua fragilità. La debolezza di un uomo che potrebbe avere tutto ma che sente di non avere mai abbastanza. Non si può non amare Gatsby perché lui è un simpatico sborone, un tenero arrivista, un romantico bugiardo. E io lo amo, ve lo giuro, ma lo amerei ancora di più se non fosse stato così coglione da perdersi dietro a una stronza. 
La domanda vera è: perché Gatsby si fa mettere la vagina in testa in modo così plateale e ostinato? Semplice. Perché c'ha un complesso d'inferiorità grande quasi quanto il palazzo in cui vive. Perché per quanti soldi e fama possa avere, sa che gli manca quel particolare prestigio sociale che solo chi nasce schifosamente ricco e lo resta per tutta la vita senza dover alzare un dito possiede. E perché ai suoi occhi Daisy incarna quel prestigio che nessuno sforzo e nessuno sfarzo possono comprare e in assenza del quale lui resterebbe per sempre un parvenu. Ora morire per una fissazione così sciocca mi pare un po' stupido. Poi fate voi.


Daisy Buchanan: è uno di quei personaggi che non puoi fare a meno di chiederti "ma ci è o ci fa?". Daisy è leggera al limite dell'idiozia, triste al limite dell'esistenzialismo, sconclusionata come solo una privilegiata può essere. E in definitiva è una STRONZA PUTTANA. Perché non si cura degli altri, perché è troppo debole, stupida e fifona per capire ciò che vuole e prenderselo. Perché sorride e scappa lasciando gli altri a pagare per le conseguenze della sua leggerezza. Perché non è capace di amare nessuno. Non ama suo marito, perché è un mezzo scemo. Non ama Gatsby perché infondo infondo sa che lui non è alla sua altezza. Ma non ama nemmeno se stessa perché preferisce essere la "stupida moglie di qualcuno" e tenersi le corna che una donna responsabile delle sue azioni e dei suoi sentimenti. Noi odiamo veementemente Daisy, anche se ha dei vestiti bellissimi. La odiamo anche se ha portato sullo schermo un taglio di capelli molto simile al mio. La odiamo e le auguriamo che un incendio le distrugga la cabina armadio.

Tom Buchanan: è il classico rampollo arrogante e ben messo, che non ha bisogno di essere intelligente o brillante per avere successo, dato che il "successo" ce l'ha per diritto di nascita. Nel suo essere mezzo scemo è il più normale fra tutti personaggi del romanzo. Si guadagna la mia stima quando fa notare che un uomo vestito di rosa non è un fatto socialmente accettabile. 

Tutti gli altri personaggi: non si capisce bene a cosa servano. Probabilmente solo a creare un profondo imbarazzo durante la terribile scena del Plaza.

Il sugo della storia.

Il mondo fa schifo oggi. Ma faceva altrettanto schifo quando c'era il proibizionismo, si portavano le frange e si ballava il charlestone.

6 commenti:

  1. La tua penna è sagace come sempre... ma discutere Fitzgerald no!!!

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    1. Forse non si evince ma io adoro il romanzo di Fitzgerard. Lo adoro perché ti mette addosso quella sensazione di disagio e imbarazzo umano che poi è la stessa che vive l'io narrante. E penso che Fitzgerard volesse dire proprio quello che ho capito io.

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  2. Il remake di questi film è una operazione che può coinvolgere solo chi non ha vissuto con partecipazione l'unica cosa per cui si accettavano storie tanto banali... il divismo. Leonardo di Caprio non è Alan Ladd e Carey Mulligan non è Betty Field... magari sono più bravi e più belli ma non fanno sognare... (ignoro volutamente il remake del 1974.. idem).Le grandi storie sono fatte per le grandi epoche dove il grande cinema ( con la sua "Grande bellezza"...mmò ce vò... ) fa sognare o commuovere le grandi platee... oggi preferisco il microcosmo dei sentimenti veri al macrocosmo inverosimile di una epoca che non c'è più... Baz Lurhman è un ingenuotto (..vedi Australia...flop..)innamorato delle proprie capacità... Bravo. Preferisco Kusturica... Amen

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  3. Ciao, mi piace il tuo blog, anche se è una recente scoperta ho voluto premiarlo con il Liebster blogger Awards!!!
    Spero ti faccia piacere!
    Ciao Esme0911

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    1. Mi fa sempre piacere quando qualcuno apprezza questo blog! grazie Esme.

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  4. qui il link del post http://esme0911.blogspot.it/2013/06/premio-accettato-e-condiviso.html
    Ciao

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